Italiano = mafia. Un’associazione che ci accompagna ovunque nel mondo. Uno stereotipo che rifuggiamo con orrore. Eppure… un fondo di verità c’è. Sì, perché alcuni aspetti tipici della mentalità mafiosa sono radicati nella cultura italiana. Ma non per questo significa che siamo criminali, né che ce ne dobbiamo vergognare. Solo che dobbiamo esserne consapevoli e prestare molta attenzione per non fare emergere il lato oscuro della nostra mentalità. Ma quali sono le affinità tra mentalità italiana e quella mafiosa?
La mentalità italiana è mafiosa?
# I valori tipici della mafia… e della mentalità italiana

La mentalità mafiosa si confonde molto con quella italiana. Questo perché i due approcci culturali e mentali sono tra loro in relazione e sovrapponibili, molto simili nella forma e nella sostanza, differenziati sulla base delle finalità che ognuno adotta. Giovanni Falcone affermava che “si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale“. Ma quali sono questi tratti tipicamente mafiosi che si riscontrano nella mentalità italiana?
Uno dei più appariscenti è il culto della persona, che si riscontra in tanti ambiti, in primis nella politica. Molti leader accentrano onori e riflettori su di sé, in modo simile a quello che fanno i padrini. Siamo un popolo fortemente egoico, dove si tende a voler primeggiare per vanità e ostentando la propria carica come strumento per elevarci al di sopra degli altri. Poi c’è il senso del clan, che divide il mondo in amici e nemici, senza mezze misure. Così come l’amicizia vale più della competenza. Altro concetto molto mafioso.
Nella mentalità italiana abbondano anche elementi più folkloristici del mondo mafioso. Il senso del rispetto, dell’onore, una religiosità popolare, a volte, più fatta di elementi di superficialità superstiziosa che di una spiritualità autentica. Ma forse il tipo di rapporto più simile a quello con il boss locale è quello che si instaura tra cittadino e Stato. Si cerca soprattutto protezione e si vive un rapporto di sudditanza, pretendendo che, in cambio delle nostre tasse, provveda al nostro benessere, delegando a chi sta sopra di noi ogni nostro potere o responsabilità su di noi. L’assimilazione Stato-Mafia può sembrare un paradosso, ma c’è chi sottolinea le somiglianze. Non solo: si dice spesso che la Mafia prospera dove lo Stato è latente, quasi a indicare che entrambi svolgono le medesime funzioni. Ma è davvero così?
# Stato e sottostato, due sistemi simili nel metodo, differenti negli effetti

Si definisce spesso la mafia come un’organizzazione parastatale che tenta di sostituirsi allo Stato stesso, con metodi simili ma finalità diverse. E lo Stato italiano, in effetti, ha delle modalità di controllo del territorio che, in molti casi, somigliano a quelle mafiose. Si guardi, per esempio, all’esazione delle tasse: lo Stato chiede un contributo economico in cambio di determinati servizi, tra cui l’accesso alle cure e la protezione tramite polizia e tribunali. Con una piccola forzatura, si può leggere lo stesso meccanismo nel sistema del pizzo, per cui il commerciante o l’abitante di una zona controllata dalla mafia danno un contributo economico al mafioso che in cambio offre protezione e diverse garanzie. Cosa differenzia lo Stato e la mafia in questa prassi? Il metodo: il mafioso, a differenza dello Stato, non rispetta lo stato di diritto e per far rispettare la propria autorità si serve di coercizione e violenza, differenziando la propria “clientela” tra chi paga e chi non paga, chi è costretto a piegarsi e chi ha il coraggio di alzare la testa. In sostanza, le differenze risiedono tanto nelle finalità quanto negli effetti.
Se ci sono affinità tra mentalità mafiosa e quella italiana, addirittura tra il modo di esercitare l’autorità sui cittadini di Stato e della Piovra, si può concludere che allora gli italiani sono, siamo tutti criminali? Certo che no: il fatto che la mafia sia un prodotto culturale originato dalla nostra mentalità deve favorire una consapevolezza di quello che siamo e anche di ciò che non vogliamo essere. La mafia è uno specchio per capire come essere migliori, come singoli e come popolo. Ma qual è il criterio per comprenderlo?
# La mafiosità si alimenta con la dipendenza: per vincerla serve autonomia e un ruolo attivo nel benessere individuale e collettivo

La constatazione di avere affinità e, per certi aspetti, uguaglianze con la mentalità mafiosa, non deve indurre nell’errore di vergognarsi della cultura nazionale: essa è espressione di una tradizione ricchissima di grandi contributi umani, scientifici e artistici che rendono l’Italia e gli italiani un fulgido esempio di grande raffinatezza intellettuale in tutto il mondo. Ma questa è come una medaglia, a una faccia positiva ed evolutiva, ne esiste l’altra negativa e distruttiva. L’Italia ha esportato bellezza e cultura in tutto il mondo, facendo leva su quella stessa mentalità che ha generato anche le cosche della criminalità organizzata. Una mentalità che viene denigrata ma che ha dei tratti di elevata umanità: la lealtà, l’onore, la resilienza, il senso di comunità che possono essere esercitati, senza cadere nella criminalità. Per farlo, sia i cittadini come gli amministratori, devono imparare a discernere il giusto fine delle proprie azioni: il bene comune contro il semplice tornaconto personale, la crescita collettiva contro l’abbattimento violento della concorrenza, la comprensione di chi la pensa diversamente senza trasformarlo in un nemico da combattere. Non solo. La cosa più importante è riuscire a non cedere al tranello in cui prospera la mafia e, a volte anche gli elementi più arretrati dello Stato: la dipendenza. Crescere nella società significa aumentare il proprio contributo di benessere per sé e per gli altri, evitando di appoggiarsi agli altri in modo improduttivo, se non parassitario.
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RAFFAELE PERGOLIZZI