L’ultima novità? Le panchine anti-senzatetto arrivano anche a Roma. Decoro e perbenismo contano più del senso di umanità? Ma forse c’è qualcosa di più sinistro che si sta instaurando in chi governa le nostre grandi città. Il vero nemico da combattere sembrano sempre di più loro: i poveri. Perché vanno tenuti fuori. Questo spiegherebbe tutte le politiche classiste in atto a Roma e a Milano negli ultimi anni. Ma è questa la città che vogliamo?
C’è ancora posto per i poveri nelle nostre città?
# Dove sono queste panchine e come sono state realizzate

Durante il periodo di riqualifica della città in vista del Giubileo, sono stati rivoluzionati tanti spazi pubblici della Capitale. Tra questi c’è la celebre Piazza dei Cinquecento, il più grande accesso pedonale per la stazione Termini, con il relativo capolinea dei bus. La riqualificazione complessiva della piazza è ancora in corso, ma parte di essa è stata inaugurata il 14 gennaio di quest’anno, rivelando una piccola grande novità: le panchine anti-senzatetto. Il luogo rifugio per tanti clochard viene trasformato in modo che sia impossibile sdraiarsi. Non è la prima volta che questo tipo di panchine appaiono in città, ma se si pensa che a promuoverle è stato il PD romano, che non perde occasione per parlare di innovazione e integrazione, con i fondi giubilari, principalmente destinati all’accoglienza dei pellegrini, questo solleva qualche interrogativo. Diverse associazioni, come CGIL e Nonna Roma, hanno denunciato il fatto, definendolo un approccio che nasconde i problemi sociali anziché risolverli. Ma il problema sembra più profondo di così. Perché i poveri stanno sempre più diventando il nemico delle amministrazioni delle grandi città.
# La diffusione delle politiche classiste: si tutelano i ricchi, si rende la vita impossibile ai più poveri

Quest’ultima trovata delle panchine è la continuazione di un approccio escludente e classista adottato dall’amministrazione capitolina. Peraltro di sinistra come l’altra grande amministrazione classista in Italia: la giunta Sala. Il tratto in comune di tutte le iniziative politiche più impattanti è di rendere la vita impossibile in città ai più poveri. Rinforzando, per contro, i privilegi di chi è più ricco. Un esempio di questa politica Robin Hood al contrario è il successo delle ZTL. Successo per il numero, non certo per la qualità generata per i cittadini. Roma e Milano sono indiscutibilmente segnate dalla politica delle ZTL. Zone che garantiscono la circolazione solo di chi abita nelle zone con le case più care e per chi può permettersi le auto più nuove o che costano di più. Tutti gli altri: si devono attaccare al tram. A Milano, addirittura, chi non può permettersi l’auto nuova non può neppure entrare in città sulle quattro ruote. In generale, tutte le politiche dichiaratamente green sono strumenti di esclusione per chi ha meno reddito. Che la povertà e il disagio in zone come la stazione Termini siano un problema è vero, ma non è escludendo o cacciando i poveri che si risolverà la questione. E questo stride ancora di più con la mentalità storica di Roma che è sempre stata di accoglienza, non di esclusione.
# La natura di Roma non è escludente: si riparta da questo per non perdere l’umanità
Nonostante i tentativi dell’attuale amministrazione di rendere Roma una città per ricchi e benestanti, la natura dell’Urbe non si presta bene a questi tentativi. Questa città è stata per secoli crocevia di moltissime popolazioni, ha visto passare sul proprio territorio culture e lingue differenti, senza mai dimenticare che i romani stessi altro non erano che un risultato dell’incontro tra diverse popolazioni latine ed italiche del territorio laziale preromano. Sostanzialmente, meticci. Non si deve dimenticare la fondamentale presenza della Chiesa Cattolica, che abbraccia il mendicante come l’abbraccio del colonnato di Piazza San Pietro, sotto cui proprio poveri e pellegrini trovano riparo tutti i giorni dell’anno. L’aspirazione a combattere la povertà è giusta, ma non deve diventare una battaglia contro i poveri. L’amministrazione dovrebbe ravvedersi e rendersi conto che ci sono molte altre soluzioni per condurre questa battaglia civilmente. Si dovrebbero adottare soluzioni come quelle dell'”Housing First“, già sperimentato con successo in città come Helsinki, per fornire alloggi ai senzatetto, magari ricavandoli dai beni confiscati alle mafie. O ancora si dovrebbe investire sulle associazioni umanitarie, evolvendo le attività dal semplice assistenzialismo a vere forme di inclusione sociale, creando nuovi uffici di collocamento per trovare lavoro a queste persone. Così come dovrebbero essere introdotti e diffusi percorsi di formazione per consentire a chi è tagliato fuori di rientrare in società in modo competitivo e dignitoso. Perché un principio etico cardine della società umana è che chi più ha, più responsabilità verso gli altri deve mostrare. Quindi, se ci sono persone in difficoltà economica, la prima azione da fare è di coinvolgere tutta la comunità per aiutarle, invece che colpirle ancora di più. Lo stesso discorso vale per la battaglia sulle emissioni: fino a qualche decennio non esisteva neppure l’idea di dividere i cittadini, dando più diritti di circolazione a quelli più ricchi. Si adottavano misure realmente democratiche, come quella delle targhe alterne, per cui ogni auto poteva circolare lo stesso numero di giorni, indipendentemente dal prezzo o dalla cilindrata. Così come accade in tutte le metropoli che adottano la congestion charge: dove si paga tutti, non solo i più poveri. Anche perché per le nostre città, forse, più di qualche frazione di inquinamento di più, il vero pericolo è un altro: la perdita di umanità.
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RAFFAELE PERGOLIZZI