Il grande «red flag» della destra: la mancata rivoluzione culturale

Il grande «red flag» della destra: la mancata rivoluzione culturale

Uno dei punti di forza della sinistra è sempre stato quello di aver controllato la cultura, i modi di esprimersi, omologando il linguaggio nazionale sui propri schemi. Ma questo è da sempre anche il suo grande punto debole dal punto di vista elettorale. Non è un mistero che proprio per questo molti non la votino e scelgano l’alternativa. Un’alternativa che però sta “tradendo” questa aspettativa. E non è una cosa da poco: ecco perché la mancata rivoluzione culturale della destra segnerà la sua sconfitta.

Il grande «red flag» della destra: la mancata rivoluzione culturale

# La forza della sinistra: l’egemonia cultura totalizzante

Ph: berlinguer_official – Instagram

La sinistra italiana, soprattutto quella degli anni passati, erede del Partito Comunista Italiano, ha sempre avuto come suo grande punto di forza la capacità di controllare la cultura. Grazie alle grandi capacità elaborative e oratorie dei suoi storici esponenti, da Gramsci fino a Berlinguer, passando per Togliatti, essa ha saputo impadronirsi dei luoghi della cultura, riuscendo a convertirli sul proprio linguaggio. Quelli che Gramsci definiva “casematte” della società civile (scuole, università, stampa, associazioni) erano i bastioni da conquistare per affermare la cosiddetta “egemonia culturale“, strumento per formare e preparare la società alla rivoluzione socialista. Ad oggi, nonostante la sinistra attuale sembra avere conservato poco o niente della vecchia eredità, ha comunque mantenuto la capacità di universalizzare le proprie posizioni ideologiche, facendone delle battaglie culturali. Si guardi, ad esempio, all’estremizzazione del buonismo e del politicamente corretto, divenuti ormai il fondamento di quelle posizioni conosciute come, appunto, cultura woke.

# La destra al potere si è accodata a questa egemonia cultura

Fratelli d’Italia – pagellapolitica.it

Basta ascoltare chi l’ha votata per capire che proprio questa dovrebbe essere la missione prioritaria della destra al potere. Liberare l’Italia da questa cappa culturale creata dalla sinistra. Ma dopo questi anni di governo qual è il risultato? La cruda realtà è che la Destra non ha fatto altro che assecondare la riuscita di questa lenta, ma inesorabile, affermazione della cultura politica della sinistra. Sia oggi che in passato, piuttosto che rispondere con elaborazioni alternative, la destra ha scelto la strada di continuare con una semplice reazione, come se si trovasse sempre all’opposizione, limitandosi all’indignazione e alla difesa di “valori tradizionali” non meglio identificati. Queste posizioni conservative, condite con dichiarazioni rassicuranti contro le innovazioni o le diversità, garantendo il mantenimento dello status quo, hanno permesso alla destra di parlare alla pancia di molti italiani, ma di rimanere sopraffatti dalla sinistra sotto il profilo culturale. Nulla infatti è mutato nella deriva culturale e ideologica italiana, nel cinema, negli eventi, nella gestione museale, nella produzione, nella formazione scolastica e universitaria.

Certamente non si tratta di un’impresa facile, quella di ribaltare una cultura fondata sulla narrazione della sinistra dal dopoguerra ad oggi, tuttavia l’occasione per fare un primo, concreto tentativo c’è stata. Ma la destra non l’ha sfruttata. Si tratta proprio del governo Meloni che, primo governo di centro destra a trazione fiamma tricolore, avrebbe dovuto cogliere l’opportunità per cambiare, laddove possibile, la narrazione di determinati fatti, convertendola sulle proprie posizioni e mostrando l’elaborazione culturale “di destra”. Minare le “casematte” della sinistra sarebbe stato il modo più concreto per condurre questa rivoluzione, che però la destra si è fatta sfuggire a partire dalla gestione della pubblica informazione dei telegiornali.

# Cosa avrebbe dovuto fare? Organizzare le grandi intelligenze e i valori fondanti del pensiero alternativo all’egemonia culturale della sinistra

Ph: passaggioalbosco_edizioni – Instagram

Solitamente si afferma che se la destra non ha saputo far valere la propria visione politica e culturale contro quella dominante della sinistra è perché, di fatto, essa non ne ha una. Ma non è così, tutt’altro: anche la Destra ha radici e visioni culturali molto variegate e composte, anche se disorganizzate. Proprio questa parola, fondamento dell’ideologia di sinistra, “organizzazione” è ciò che è mancato, e che tutt’ora manca, alla destra. Com’è possibile infatti che autori dichiaratamente di destra come Julius Evola, Celine, Gentile, Rauti, Prezzolini, Pound o anche quelli gravitanti più nella destra che nella sinistra come Chesterton, Borges, D’Annunzio, Marinetti, Jünger o Tolkien non siano conosciuti, rivendicati e riproposti dalla destra italiana? Organizzazione significa saper cogliere e trasmettere i punti di valore che accomunano e caratterizzano le grandi intelligenze schierate a favore della libertà individuale contro l’oppressione autoritaria, della diversità di pensiero contro l’imposizione di dogmi totalizzanti, del criterio di natura contro l’ideologia di sistema. 

Significa sforzarsi di puntellare su questi punti di valori una linea editoriale per una nuova produzione culturale, per una valorizzazione delle eccellenze, per programmi di formazione ed evoluzione individuale, per la trasmissione di una nuova visione della vita, alternativa a quella che ha ingabbiato la mente degli italiani negli ultimi decenni.

Una forza politica che, invece, si limiti a fondare i suoi punti di forza sulla praticità, su un conservatorismo finalizzato a tranquillizzare il ceto medio e sul mantenere lo status quo, può essere dirompente ed efficace nel breve termine, ma senza una progettualità autentica e alternativa, generata da un’intelligente e coraggiosa elaborazione politica e culturale, è destinata a perdere non appena le si presenti sulla strada una alternativa con qualche contenuto in più.

Continua la lettura con: Il TG1 sta anticipando il fallimento della destra al potere ora in Italia

RAFFAELE PERGOLIZZI