Si provi ad immaginare un mondo in cui non è più necessario lavorare, dove le macchine fanno tutto e la sopravvivenza non è più la priorità. Per dirla in altra maniera, un mondo stile Wall-E. L’uomo sarebbe nuovamente messo di fronte alle sue domande esistenziali, questa volta a nudo. Che senso assumerebbe la nostra esistenza, superate le necessità accidentali?
Qual è il senso della vita nella società del futuro?
# Il mondo di oggi è diviso tra povertà ed eccedenza di beni
Per secoli l’essere umano ha passato la sua esistenza terrena a cercare il metodo migliore per sopravvivere alla fame e proteggersi da intemperie e minacce. Nel solco di questo approccio alla vita è andata formandosi quella che noi oggi chiamiamo evoluzione: il raffinarsi delle tecniche e delle modalità finalizzate a creare presupposti di vita e convivenza con altri uomini sempre migliori. Ad oggi il quadro è chiaro: molte popolazioni hanno saputo sfruttare il progresso in ogni campo, riuscendo a costruire una società in cui la sopravvivenza non fosse più il problema principale. Piuttosto, il problema è diventato come sopravvivere, cercando soluzioni sempre più agiate e lussuose. Un’altra parte di mondo, invece, è rimasta indietro, costretta ancora a inseguire la vita giorno per giorno, lottando contro la fame e le malattie per guadagnare un giorno in più. Tutte cose che noi occidentali diamo ormai per scontate. Ma se un giorno l’umanità dovesse evolversi ancora di più e trovare una volta per tutte la formula che permetta al mondo intero di non doversi preoccupare più della sopravvivenza? Immaginiamo, ad esempio, un mondo sullo stile di Wall-E: macchine e robot che si occupano del nostro sostentamento. Come sarebbe l’umanità? Se si riducesse come viene ipotizzato nel cartone, ovvero che ognuno vive per inerzia senza uno scopo ben preciso, che senso avrebbe vivere?
# Passivi passeggeri dell’Axiom, o esseri capaci di riscoprire la propria essenza?

Nel film Wall-E si racconta di un’umanità che ha perso il motivo di occuparsi delle questioni quotidiane. Le macchine pensano a tutto: produrre cibo, incamerare e spendere energia, smaltire i rifiuti. Un mondo in cui gli esseri umani vivono passivamente a bordo dell’Axiom, una grande nave fluttuante a bordo della quale l’unica cosa da fare è non fare nulla. Il film è ovviamente un insieme di fantasia e denuncia, ma in molti si pongono il quesito che il cartone rende più chiaro: tolte le preoccupazioni mondane che, materiali, ci distraggono quotidianamente, qual è il senso della vita? Fino ad adesso il senso della nostra vita è stato il vivere e il sopravvivere stesso, quando queste necessità si annulleranno l’uomo sarà messo a nudo di fronte all’atavica domanda esistenziale: a cosa servo in questa dimensione materiale? La mentalità diffusa ci porta a cercare la risposta in altrettante questioni materiali: l’accumulo di ricchezza, il piacere fisico da soddisfare attraverso la disponibilità economica, la sfida ad essere più ricco degli altri. Eppure queste risposte non soddisfano quella domanda, lo si vede in tante persone che questa condizione l’hanno già provata. Si pensi ai grandi attori, giunti sul tetto del mondo che, senza una motivazione o la necessaria curiosità per gettare lo sguardo al di là dei confini della Terra, cadono in depressione e perdono tutto. La questione è quindi più chiara: non si può ricercare il senso dell’esistenza nella materia, a partire dallo sforzo per rimanere su questa terra: non siamo vivi per sopravvivere. Ma se non è questo lo scopo, allora qual è?
# La ricerca di sé all’ombra del Mistero
Il mondo, soprattutto occidentale, ha perso da tempo il contatto con la spiritualità. Credendo che essa sia una semplice questione accessoria con cui contornare le vite dell’essere umano, l’ha accantonata perché non utile al raggiungimento di un dato scopo materiale. Nonostante questo, i moti interni dell’Io agiscono e provano ad esprimersi anche attraverso le storture dell’essere umano: scrivere dritto sulle righe storte. Da qua derivano i fini ultimi che alcune grandi civiltà, più o meno consapevolmente, si pongono nonostante tutto. Si pensi alla società più materialista dei nostri tempi: quella americana. Anch’essa ricerca uno scopo, seppur materiale, ed è la produttività, che senza lavoro, rischia di crollare, lasciando un vuoto esistenziale. Dall’altra parte del mondo, in Giappone, abbiamo una civiltà che fonda il senso delle proprie giornate al perseguimento dell’onore: il concetto di ikigai, il “motivo per cui ci si alza al mattino”, unisce passione, utilità sociale e vocazione. Vivere con onore significa contribuire, anche in un mondo automatizzato. O per prendere un esempio ancora più radicale, si pensi ai capi brahmini, tra i quali coloro che raggiungono la moksha, la liberazione spirituale, in rari casi praticano il samadhi, un suicidio rituale dopo aver conseguito la completa illuminazione, come gesto di distacco dal mondo materiale. Tutte queste tensioni alla ricerca di uno scopo evidenziano un fattore comune: l’esistenza su questa terra è di passaggio e la tensione all’infinito è insita nella natura dell’uomo. Tentare di offuscarla fa perdere l’orientamento e conduce a concepire l’esistenza e l’evoluzione non come un cammino materiale e spirituale collettivo dell’intera umanità verso un fine ultimo, ma come la semplice ricerca di un metodo efficace per la sopravvivenza. Recuperare una spiritualità perduta significa cercare un significato che trascenda il lavoro o il tempo libero, unendo passione, comunità e introspezione. Solo così potremo evitare il destino di Wall-E e vivere una vita piena, anche in un mondo che non ci chiede più di sopravvivere.
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RAFFAELE PERGOLIZZI